Le cicatrici dell’anima: riflessione di Francesco Provinciali
Francesco Provinciali, Giudice Minorile, ci consegna oggi una riflessione molto bella sulla vita e le cicatrici dell’anima, pubblicata sul quotidiano Alto Adige. Di che cosa si tratta? Vi riportiamo l’articolo per intero, perché merita davvero attenzione.
I dettagli che affascinano e incuriosiscono
Che cosa ci affascina e ci incuriosisce dell’esistenza degli altri? Certamente molti e variegati dettagli: gli stili e il tenore di vita, gli interessi, la collocazione sociale, le idee, i sentimenti, le ambizioni, i progetti. Tutto ci serve come paradigma per misurare noi stessi con la realtà che ci circonda e la gente – sia che si tratti di amici, parenti, colleghi di lavoro o interlocutori occasionali – ci offre sempre buone opportunità di conoscenza e comparazione.
Un mondo di apparenze
Siamo, bisogna dirlo, suggestionati molto dalle apparenze: uno dei culti del nostro tempo è il mito dell’estetica, la sua enfasi, il farne un modello di valutazione e di giudizio, lo status symbol di un’appartenenza, un esempio che racchiude in sé la combinazione vincente di un mix di fattori, nell’epoca del breve e dell’effimero, la rappresentazione iconica della capacità di essere adeguati.
Apparire si esaurisce in sé, si percepisce in un attimo, comunica e lascia un’impronta che abbaglia e stordisce, convince i più, classifica, connota, si impone in uno spazio furtivo ma vincente. Questo è il tempo del tutto e subito, del colpo ad effetto, dell’impatto emotivo, della folgorazione della bellezza, del dovere di essere sempre adeguati e vincenti, del treno che passa e che non bisogna perdere, della felicità come forma di suggestione e di miraggio collettivi.
Il teatro della vita e gli attori sociali
Per questo la civiltà della parola e quella dell’immagine riescono a marginalizzare con sempre maggiore disinvoltura le buone ragioni del pensiero e della riflessione. Ma il teatro della vita non è fatto solo di rappresentazioni simboliche, di recite a soggetto, di copioni già scritti per aspiranti comparse: ci sono le pause, i silenzi, i cambi di scena, i saliscendi del sipario che rendono misterioso e intrigante ciò che accade dietro le quinte. Nel gioco delle parti siamo tutti a nostro modo, degli attori sociali e questa è una spiegazione affascinante del nostro essere nel mondo, insieme agli altri, di questo renderci riconoscibili interlocutori di ogni sostenibile relazione sociale.
Conosciamo veramente a fondo chi ci circonda?
E poi c’è in noi, in tutti, quel sommerso che a volte ci sfugge, che spesso ci inchioda alle verità dell’esistenza, ciò che volutamente teniamo sopito nei tabernacoli della nostra intimità. Mi ha detto Vittorino Andreoli: “Dovremmo essere più cauti nel dire di una persona -io la conosco-“. Sappiamo, è vero, renderci presentabili ma non sempre quella che mostriamo è la parte più autentica del nostro essere. E gli scandagli dell’anima, le introspezioni, i sentimenti sopiti e nascosti rivelano condizioni ben diverse da quelle cui reciprocamente ci abituiamo, dicendo vicendevolmente di conoscerci.
Pensiamo alla solitudine e ai suoi turbamenti, pensiamo ai mille volti della paura, alle angosce, alle reazioni depressive di fronte alle oggettive difficoltà della vita. Questo sommerso ci accompagna dalla nascita alla morte, è uno scrigno misterioso che abita in noi, in ogni età della nostra vita. Crescendo e vivendo in mezzo agli altri è come se gradatamente prendessimo le misure al nostro agire: non è sempre possibile – però- modulare i comportamenti emotivi, essere razionali, capaci di sostenere l’impatto di un rapporto, di una interlocuzione, un risultato negativo. Ci sono quelle che Eugenio Borgna chiama le ‘intermittenze del cuore’.
Le cicatrici dell’anima
Nel double-face del nostro essere non tutto si può vedere e trovo straordinario che accanto alla capacità di gioire e alla ricerca della felicità come scopo della vita ci siano tante persone che riescono a portare con dignità il fardello del dolore profondo fino alla morte, come un segreto, spegnendolo con sé al momento dell’ultimo commiato.
Chi riesce allora a sopravvivere ai soprassalti e agli inganni della vita, alle sue sorprese, alle oscure e misteriose difficoltà che ci riguardano, nei comportamenti e nei sentimenti, nelle gioie e nei dolori? Forse coloro che posseggono la capacità di convivere con la sofferenza interiore, di darle un senso accogliendola nella sua dimensione poliedrica e inspiegabile, metabolizzando le ferite nascoste fino a rendere accettabile il fatto di sopravvivere a se stessi. Per questo le cicatrici dell’anima rendono la vita un dono ancora più grande e più nobile.
Articolo di Francesco Provinciali, pubblicato sul quotidiano Alto Adige